In un turbinio di pallottole fra ex sposi (Roberto Mancini e Gabriele Gravina; Aurelio De Laurentiis, Luciano Spalletti e Gravina), Gianni Rivera compie 80 anni. Come ho scritto su «Sport del Sud», si parla di un simbolo, di un microfono capace di «liberare» un anello pericolante di San Siro, il pomeriggio della Stella (6 maggio 1979, Milan-Bologna 0-0). Di un parallelo che ci divise in due come la Corea, fra il Nord difensivista di Gianni Brera e il Sud napoletano degli offensivisti (Antonio Ghirelli, Gino Palumbo).
L’Abatino breriano, appunto, il «Tocco in più» di Oreste Del Buono. Il secondo pallone d’oro della nostra bacheca (dopo l’oriundo Omar Sivori: era il 1969 e Gigi Riva, beffato, s’infuriò). L’essenza circense del compromesso storico, la staffetta messicana con Sandro Mazzola che ci obbligò a schierarci, o di qua o di là , o per Sua Leggerezza o per il Baffo. Il piatto destro ai tedeschi nel partido del siglo, i sei minuti della finale con il Brasile di Pelé (al posto di Roberto Boninsegna, però), ennesima miccia dell’ennesima zuffa.
Il golden boy. Intervistato in tram da Beppe Viola, torchiato a tavolino da Oriana Fallaci. Battesimo ad Alessandria (a 15 anni e rotti), poi solo Milan: dal 1960 al 1979. Nel dettaglio: 3 scudetti, 4 Coppe Italia, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa Intercontinentale (strappata all’Estudiantes di Carlos Salvador Bilardo in una notte di pestaggi sanguinari e sistematici, ben riassunta dagli zigomi di Nestor Combin). In azzurro, campione d’Europa nel 1968 e vice campione del Mondo nel 1970.
Per dirla seraficamente con Vujadin Boskov: vedeva autostrade dove gli altri solo sentieri. Numero dieci, di scuola Schiaffino, non leader subito, ma piano piano,
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